domenica 7 settembre 2014

LA CATTEDRA DELLA NORMALITA’

Riceviamo e pubblichiamo
 
In medio stat virtus, così i latini collocavano la virtù perché, evidentemente, la saggezza umana, attraversando tutte le culture ed i secoli che precedettero la romanità, aveva meglio interpretato quello a cui l’uomo dovrebbe tendere. 
Sono trascorsi millenni, ma è difficile immaginare una sintesi diversa da quell’assunto; specie nel nostro contesto socio, economico e culturale che, attraverso i secoli, ha forgiato l’italiano medio corrispondente all’opposto di quello immaginato dai nostri progenitori. 
Sono arcinote le nostre tendenze di individualismo, qualunquismo ed opportunismo evidenziate, magistralmente, anche nel nostro cinema. La nostra società è connotata da forti retaggi caratteristici della “famiglia tribù” che antepone i propri interessi comunque ed a prescindere. E’ importante proteggere il clan che si pone come il maggior nemico del bene comune. 
In questo contesto la meritocrazia non trova albergo in nessun settore infestando anche quello privato. In queste voragini, di caos voluto e perseguito, ci si tuffano tutti i senza titoli che il popolo invoca come nuovi messia. Poi delusi, si riparte per condannare politici ed amministratori dimenticando che questi soggetti corrispondono ai nostri desiderata e non provengono da altri pianeti. 
A nulla servono le periodiche statistiche, anche quando ci ricordano che l’Italia, nel contesto europeo, connota la più bassa percentuale di diplomati e laureati e la più alta di analfabetismo. 
A questi dati catastrofici, sempre le indagini statistiche, sommano che il trenta per cento dei nostri laureati ha difficoltà a comprendere un articolo giornalistico. Intanto, negli ultimi 10 anni, circa un milione di giovani e meno giovani, spesso laureati, hanno lasciato il nostro Paese. 
A queste carenze culturali si aggiungono quelle produttive caratterizzate da micro aziende; spesso prive di valore aggiunto e perciò non competitive, nel mondo globalizzato. Però ci viene ricordato, a compensazione, come se fosse novità, che possediamo un patrimonio culturale unico, non valorizzato. Non si tiene conto che, anche per questa indubbia rilevante risorsa, la monetizzazione passa attraverso la conoscenza profonda del bene, da parte di tutti i soggetti interessati, che non sono gli attori odierni. 
A termine di queste brevi riflessioni catastrofiche, se condivise, ci si chiede: come sarà possibile avviare a soluzione questi annosi problemi? In un paese semiserio, il capo tribù riunirebbe tutti i saggi del villaggio, con diverse competenze, per discutere sulla via maestra da percorrere. A chi scrive, che non farebbe mai parte di quella ipotetica assemblea, sembra di poter suggerire che, una volta condiviso che i problemi che ci riguardano sono di diversa natura e con radici profonde, non rimanga che iniziare ad investire, a tutto tondo, sulle future generazioni perché coltivino il bene comune e la normalità. A tal proposito, proporrei di istituire, sempre che si trovi un numero sufficiente d’iscritti, una nuova facoltà univesitaria: Scienze della Normalità. 
Potrebbe risultare utile, per iniziare a forgiare quell’uomo di medie virtù, quindi normale, sempre più raro nella società italiana.

Michele Carroccia

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